Stampa questa pagina
Giovedì, 18 Giugno 2015 19:15

Domande sul libro "L'uomo Gesù"

Scritto da 

A. DESTRO - M. PESCE  “L’uomo Gesù” (Mondadori)
è apparso il 13  novembre 2008.

In questi mesi mi sono state poste dai lettori alcune domande sugli argomenti discussi nel libro. Presento, perciò, di seguito alcune considerazioni generali.


1)    Perché l’antropologia si interessa all’uomo Gesù?

    L’antropologia parte dal presupposto che lo studio dell’uomo debba tenere conto della molteplicità e della specificità culturale. E’ fatto riconosciuto che l’analisi antropologica possiede gli strumenti necessari per comprendere diversi soggetti umani, gruppi, popoli nella loro specifica particolarità.
    L’indagine antropologica si approssima quanto più possibile ai propri oggetti di studio attraverso l’osservazione diretta. Entra negli aspetti distintivi e profondi della loro esistenza, proprio per illustrarne l’influenza e la ricaduta effettiva sul mondo reale. Cerca di raffigurare i drammi e le conquiste raggiunte dall’uomo entro un determinato universo di appartenenza. A partire dalle proprie concrete esperienze e scelte, in sostanza, l’antropologo/a intende esplicitare, con senso realistico, azioni e pulsioni di individui e di gruppi. Non si occupa di ciò che genericamente si chiama “vita umana” bensì delle concrete vite individuali.
    Questi criteri e questi propositi sono stati assunti nel libro “L’uomo Gesù”. Sono stati rispettati nell’analisi della vicenda di Gesù proprio perché egli è stato un uomo a contatto con altri uomini, entro un ambiente e una specifica storia. Egli ha seguito un percorso e praticato uno stile di vita radicale, di dislocazione continua. Ha scelto l’abbandono di tutte le sicurezze economiche e familiari.
     Per incontrare l’uomo Gesù l’antropologia può offrire un grande aiuto. Questo aiuto può provenire proprio dalla sua capacità di penetrare nelle situazioni concrete, usualmente ignorate perché difficilmente avvertibili o sostanzialmente poco raggiungibili. L’antropologia può essere in grado di far affiorare forza e debolezza di soggetti precisi, percepire ruoli e condizioni esistenziali e ambientali che qualificano in modo decisivo specifici individui.
    E’ dato inconfutabile che le informazioni sull’uomo Gesù, sul suo stile di vita, provengono da testi lungamente letti ed interpretati. Sono documenti spesso lacunosi e non facilmente interpretabili senza un’analisi dettagliata di contesti sommersi, sconosciuti. Questi contesti, tuttavia, possono essere indagati dagli specialisti di varie discipline. E’ altrettanto inconfutabile che, fino a tempi recenti, il versante umano di Gesù ha avuto, negli studi, meno risonanza di altri aspetti, più astratti e più esposti a forti idealizzazioni o mitizzazioni. Il versante idealizzante porta scarsa chiarezza sulla concreta “pratica di vita” che Gesù ha condotto. Oggi, l’esigenza che l’antropologia cerca di soddisfare è quella di riparare al disequilibrio esistente fra due prospettive, quella trasfigurante e quella realisticamente plausibile.

2) Dal punto di vista antropologico, Gesù è un soggetto anomalo?

    I racconti e i resoconti relativi alla vita di Gesù sono sufficienti per affermare che fu un uomo sostanzialmente coincidente con ogni figura umana. I testi mostrano i suoi bisogni e i suoi sentimenti come identici a quelli di ogni altro individuo. Gesù cerca e incontra persone, cammina, spera e teme, condivide cibo e interagisce con altri, si emoziona, si infiamma di sdegno. E’ pienamente partecipe della condizione che ogni essere umano sperimenta e comprende.
    La vita terrena di Gesù segue le regole di un ambiente, di una tradizione culturale specifica, quella giudaica. Egli è immerso in un mondo di gente simile a lui per abitudini e preferenze. Molti passaggi del libro “L’uomo Gesù” sono proprio organizzati per mostrare, il più fedelmente possibile, le condizioni storico-culturali in cui Gesù era immerso.
    Gesù, come appare nelle fonti, è inserito nella sua società ma non appiattito sulle situazioni domestiche e contadine che gli stanno intorno. Pur rimanendo fedele alle regole religiose e alle vicende socio-politiche del suo tempo, egli ribadisce proprie esigenze. Non smentisce mai la propria origine e le proprie radici, ma divulga una propria visione del destino umano. Proclama Con convinzione proclama e invita la gente ad attendere un prossimo rinnovamento e una rigenerazione del mondo (il “regno di Dio”, secondo la visione giudaica). Si adopera perchè ciò avvenga all’interno di un popolo, al quale ritiene di appartenere e che vuol riscattare.
     Da queste esigenze – si sostiene nel libro - nasce uno stile o pratica di vita personale di Gesù, in cui la relazione con la tradizione resta fondativa, anche laddove si delineano nuove aspirazioni e nuove tendenze. Questo processo non presenta anomalie: è lo sviluppo ordinario e congruo di un leader religioso, fedele al proprio Dio. E’ un percorso coerente e piuttosto ricorrente in storie cultural-religiose dirette, pur nella loro varietà, a rinnovare modelli di comportamento e di proiezione nel futuro.

3) E’ giustificato inquadrare Gesù in uno schema biografico?  E’ utile rifarsi alle sequenze o alla cronologia della sua vita? Sarebbe più opportuno parlare di un Gesù atemporale, fuori dai quadri esistenziali?

    Si è visto che l’antropologia ritiene opportuno non discostarsi mai dai comportamenti reali dei soggetti. Gli ordinari fatti biografici e le condizioni vissute danno spessore e trasparenza alla drammatica vicenda di Gesù. Sulla scorta di questa convinzione va sottolineato che occorre non trascurare la biografia di Gesù (e neppure trasfigurarla) perché si corre il rischio di non comprendere la sua realtà di uomo (che soffre, che prega, che viene tradito, che è catturato ed ucciso) e dunque di mortificare il senso dell’impatto della sua azione sulla gente.
    Pur attenendosi ai dati biografici che i testi ci offrono, il libro organizza il discorso secondo una tecnica che non riproduce sequenze o fasi della vita di Gesù. Sicuramente utilizza eventi personali a lui attribuiti. Fissa un loro ordine, ma si basa sulla ricostruzione di circostanze e fatti della vita di Gesù che non sono disposti secondo una traccia lineare, che non seguono tempi concatenati, che non partono dalla sua nascita per arrivare alla sua morte. L’analisi intende mettere insieme ed esplorare condizioni che rinviano a dati e atteggiamenti contingenti e complessi, così come i testi li riferiscono. Questo tipo di ricostruzione ci è sembrata in grado di arricchire scenari e realtà quotidiane sulle quali è proiettata l’esistenza di Gesù.
    La scelta metodologica appena indicata non nasce solo dalla necessità di gettare luce su strutture e significati impliciti degli eventi rappresentati. Serve per trasmettere l’idea di dinamicità e di densità culturale della vita reale di Gesù che non si può pienamente esprimere in un semplice susseguirsi di eventi, o in astratte atemporalità.

4) L’interpretazione antropologica può essere accusata di non pertinenza o di insufficienza?

    La rappresentazione del sacro e del profano, combinati insieme, è stata sempre fra i propositi dell’antropologia. L’antropologia dichiara di essere vincolata all’umano, al contingente e sperimentato, ma anche al mondo emotivo dell’uomo e a ciò che egli crede dell’aldilà. Non può ignorare l’extra-umano, ma lo percepisce con gli occhi degli esseri umani che studia. Lo può presupporre come parte del loro mondo di pensieri e di sentimenti. Il qui dell’umano (anche quello che si interessa del divino) domina necessariamente il suo orizzonte.
    La condizione di Gesù e il suo dramma sono fatti sociologicamente e culturalmente leggibili solo attraverso le testimonianze elaborate dai soggetti umani che le hanno raccolte e trasmesse. Sicuramente molti di questi fatti appartengono a processi storici e culturali reali, sono riflessi caratteristici del vivere quotidiano, contengono spiegazioni plausibili della vita. Chiarire il più possibile questi fatti, nel caso di Gesù, rappresenta un sano ancoraggio alle ragioni e alle speranze di individui concreti del suo tempo (quasi sempre anonimi) che hanno voluto “fare memoria” delle vicende che lo hanno caratterizzato, che hanno determinato la sua storia e che lo hanno travolto. Non significa essere carenti, attardarsi in indagini di scarso interesse o non avere prospettive all’altezza delle questioni in gioco.

5) Che cosa si perde ignorando la lettura antropologica della vicenda di Gesù?

    La lettura antropologica non è una semplice cornice per altre letture dei testi. Non è neppure un esercizio intellettuale superfluo. Senza il supporto della antropologia e naturalmente della storia si è di fronte ad una questione molto delicata: come determinare i confini leciti e le visioni rispettose della vicenda di Gesù? Ignorando gli sfondi storico-culturali si può cadere nell’errore di presentare una figura senza radici, senza background, senza autentica consistenza. Si corre il rischio di far riferimento ad un personaggio, arbitrariamente alterato e manipolato. Addirittura si può far affiorare una persona ideologicamente costruita ad arte, esaltata in enunciati non legittimati da riflessioni serie. Si può dire di tutto di chi viene incapsulato, in modo immaginifico, in interpretazioni e visioni artefatte e non verificabili. Nel caso di Gesù, questo sarebbe un modo di depotenziare o deturpare ciò che egli è stato.
    L’antropologia storica dunque rintraccia l’umanità e la storia personale di Gesù, fin dove è possibile, per sottrarlo a inopportune e esasperanti strumentazioni, di stampo mitologico (o forse fondamentalista). Cerca di evitare il rischio di creare una “persona di Gesù” in cui far convogliare di tutto. Non percepire questa possibile deriva è pericoloso. Noi siamo convinti che Gesù attrae non per una facile adattabilità a tutti gli usi, ma per il genere di messaggio che la sua radicale scelta di vita ha potuto comunicare.

Letto 4627 volte Ultima modifica il Venerdì, 19 Giugno 2015 17:57

Video

Adriana Destro

Ordinaria di Antropologia culturale Università di Bologna, Facoltà di Lettere, Dipartimento di Discipline storiche. Dal 1994. Fondatrice del LEA - Laboratorio Etno-Antropologico dell'Ateneo di Bologna.. (continua)